Il Sussidiario non è un quotidiano secessionista. E’ un giornale controcorrente anche se talvolta allineato con le opinioni e le lobby culturali del mondo paraciellino. Tuttavia lo si può apprezzare per la capacità di fornire letture dei fatti in cui le sue diverse anime non sanno cosa fa la mano destra e cosa quella sinistra. E questo è un bene, perché il pensiero corre libero. Tanto che, mentre tanti altri scrivevano le solite cose ovvie sul dopo Scozia, vi si leggeva anche questo:
“Sicuramente in Catalogna vincerà la secessione. In Spagna ci sono una monarchia inesistente, un primo ministro, Rajoy, che offende i catalani affermando che non sono intelligenti come gli scozzesi, un Partito Popolare Spagnolo che non ha nessuna leadership e credibilità. Non c’è dubbio quindi sul fatto che in Catalogna vinceranno i sì. Il problema non è l’Europa bensì la Spagna, uno Stato composto da più nazioni dove negli ultimi anni il gruppo dirigente, compresa la monarchia, non è stata all’altezza. Mentre chi guida il Regno Unito, nonostante le divisioni, ha dimostrato di essere in grado di affrontare le sfide”.
In queste righe, apparse a fine 2014 (a firma Piero Vernizzi), vi sono molti aspetti condivisibili e di stretta attualità. Ma non è solo per la debolezza spagnola che la partita catalana si fa interessante. Nell’intervista di Pietro Vernizzi a Giulio Sapelli si centrava la questione, cioè l’effetto istituzionale a catena: “Le conseguenze più immediate riguarderebbero piuttosto baschi e galiziani in Spagna, fiamminghi e valloni in Belgio”.
Ricapitolando: la Catalogna, al di là dei veti di Madrid, ha possibilità reali di sfondare il muro, ha politici più deboli e partiti meno strutturati. Infatti, la Catalogna nonostante i ripetuti veti di Madrid, punta ad una dichiarazione unilaterale.
Diceva infatti Sapelli: “Se la Scozia è rimasta unita a Londra, è anche grazie al fatto che è un caposaldo laburista. A differenza che in Italia, nel Regno Unito i partiti sono ancora l’essenza del processo democratico, e la vittoria dei no è conseguenza anche di questo fatto”.
Se così fosse, se il principio dovesse valere anche per l’Italia, vista la sua classe politica corrotta, visto che i partiti non sono l’essenza della democrazia ma della truffa, della ladreria, del tiranneggiare, con ministri e amministratori incapaci di tenere fede anche a mezza promessa, abbattere lo status quo con un referendum dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Gli insulti arrivati al Nord, tacciato delle peggiori nefandezze per aver alzato la testa contro le furberie del sistema, non somigliano forse a quelle contro i catalani? E allora?!
Non si può neanche dire che il Nord abbia avuto i suoi laburisti nostrani capaci nel tener testa al fenomeno del crescente bisogno di indipendenza da Roma. La debolezza complessiva della classe politica era ed è tale da interrogarsi sul perché dell’ancora nulla di fatto. Il problema della credibilità, della coerenza, attraversa trasversalmente tutti, destra, sinistra, centro, Lega, il voto a uno equivale al voto all’altro, con qualche sfumatura sulla sicurezza in più al Carroccio nel fare la voce dura per immigrazione e collasso da clandestini.
Ma non basta avere un movimento che oscilla nella sua vita tra il 4 e l’8 per cento per fare la rivoluzione. Serve almeno un’altra generazione per sperare di avere un dopo Berlusconi, un dopo Renzi, e una destra con una sinistra riformiste sul serio, desiderose di risolvere la questione settentrionale, sempre ammesso che la recessione sia finita e la crisi pure senza dover passare, come si faceva in passato, per una guerra.
Fonte: http://www.lindipendenzanuova.com/la-spagna-ha-partiti-deboli-la-catalogna-ce-la-puo-fare-vale-anche-per-il-lombardoveneto-2/
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