martedì 14 febbraio 2017

L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale

Due parole animano questo pro-memoria sul Referendum costituzionale. Sentimento e Ragione.

Il Sentimento. La decisione di noi italiani sul Referendum costituzionale sarà dettata, come sempre avviene – si pensi al recente Referendum britannico – dal Sentimento, ossia da un processo cognitivo istintivo, non da una ricerca approfondita delle “ragioni”: a guidarci sarà il convincimento emotivo circa le conseguenze per la nostra vita dell’uno o dell’altro esito. Qui a contare saranno due considerazioni assai diverse. Una riguarda le “conseguenze per gli anni a venire” di modificare (come proposto) o di non modificare la Costituzione. L’altra riguarda le “conseguenze del mattino dopo” sulla guida del paese, proprio mentre in Europa e nel mondo monta tempesta.

La Ragione. Comunque finisca, a Referendum celebrato la macchina della Repubblica deve marciare a spron battuto attuando la Costituzione imperfetta che si ritroverà fra le mani. Se avrà vinto il SI, si dovrà subito tentare di limitare con una legge la degenerazione della qualità dei senatori, si dovrà gestire un ambiguo riparto di competenze fra Regioni e Stato, si dovranno chiarire subito i tanti e oscuri percorsi legislativi Camera-Senato, e altro ancora. Se avrà vinto il NO, si dovrà evitare che la doppia fiducia di Camera e Senato continui a produrre governi senza anima, che il governo abusi dei decreti legge, che un quorum troppo elevato uccida il Referendum abrogativo, e altro ancora. Comunque finisca, insomma, noi tutti dovremo lottare per una “buona attuazione”, altrimenti, in entrambi i casi, non cambierà nulla, anzi monterà solo una grande delusione. E per lottare dobbiamo conoscere sin da ora, al meglio delle nostre possibilità, con la Ragione, di cosa stiamo parlando.

Sentimento e Ragione. Il primo è l’Elefante che con la sua potenza guida le nostre decisioni. La seconda è il Cavaliere che monta l’Elefante: sa guardare lungo e intravede rischi e opportunità e per questo si è guadagnato un ruolo (sussidiario), ma solo se riesce a comunicare con l’Elefante (Utilizzo la metafora dello psicologo morale Jonathan Haidt, permettendomi di declinare i termini Cavaliere ed Elefante in modo difforme dal gergo politico prevalente nell’ultimo venticinquennio). Ecco perché condivido pubblicamente questo pro-memoria personale. Non sono affatto un “esperto” della parte ordinamentale della Costituzione, ma nella vita mi sono trovato ad applicarla in tanti diversi ruoli. E per prendere ora una decisione ho cercato di costruirmi un ponte fra Ragione e Sentimento. Chiedendomi in che modo la riforma costituzionale impatta sui cinque pilastri del “buon governo” a cui tutti aspiriamo: Efficienza, Efficacia, Certezza, Partecipazione, Garanzie. Si tratta delle “conseguenze per gli anni a venire”, insomma dello sguardo lungo, che, affiancandosi alle preoccupazioni per il “mattino dopo”, potrà ispirare il Sentimento nella sua decisione finale.

Il mio ponte è artigianale, ma è fatto con corde intessute grazie a tanti contributi e letture, e ha retto a un primo test nel mio circolo @PDGiubbonari. Sono così arrivato a due conclusioni. Le riassumo brevemente, invitandovi poi alla lettura e augurandomi che il ponte sia usato da altri e che qualcuno magari mi convinca a cambiare idea.

La prima conclusione è un forte invito a non eccitare l’Elefante, né per il SI né per il NO al Referendum. Non ve n’è ragione, perché, sulla base del mio metodo di valutazione, le conseguenze della riforma sulla nostra vita per gli anni a venire non appaiono né positive, né negative. O meglio, come cerco di mostrare, la riforma sembra produrre molte conseguenze lievemente positive e molte lievemente negative, in un bilanciamento incommensurabile che ci spinge alla sostanziale indifferenza sull’esito. Se eccitiamo oggi l’Elefante, lo facciamo senza fondamenta. Quando scoprirà, chiunque vinca, che non ha raggiunto la terra promessa, sarà furibondo e non lo controlleremo più. Per quanto mi riguarda, dunque, mettendo per ora da parte ogni istinto sulle “conseguenze del mattino dopo” – con cui prima del 5 dicembre dovrò pur fare i conti – la soluzione è l’astensione, “astensione attiva”, come mi è stato suggerito, visto che non è segno di disinteresse, ma di un percorso che mira a essere utile per il “dopo voto”: recarsi alle urne e annullare la scheda ne sarebbe il segno più chiaro.

La seconda conclusione riguarda ciò di cui invece dovremmo parlare all’Elefante. Dobbiamo parlargli della “sacralità” del processo democratico che stiamo vivendo, rimediando, noi tutti cittadini italiani, al limite mostrato dal nostro Parlamento nel mancare il quorum dei 2/3. Della saggezza dei nostri Costituenti nel prevedere questo meccanismo rimediale. Della necessità, in questo passaggio drammatico della storia europea, che la nostra Repubblica sia coesa attorno ai Principi, intoccabili e intoccati, della I parte della Costituzione. Della necessità, qualunque sia l’esito referendario, che questi principi siano meglio attuati; e dunque che tutti assieme, dal mattino dopo e comunque finisca, evitando inni alla “vittoria” o alla “tragedia”, si lavori affinché i punti deboli della soluzione che ha vinto siano contrastati e circoscritti e i punti forti esaltati e attuati. Anche perché, grazie al Referendum, li avremo finalmente meglio compresi (se useremo bene le prossime settimane). Dobbiamo tornare a “fare politica”, ad animare di “cultura” il nostro confronto, a monitorare gli esiti, a rivitalizzare i partiti e la cittadinanza attiva perché le cose che sentiamo giuste avvengano davvero. Perché la parte ordinamentale della Costituzione, qualunque sia il risultato, venga applicata al meglio.

Procedo dunque a riassumere in modo sintetico, nello spirito e con linguaggio di un promemoria personale (Manca ad esempio ogni riferimento al testo costituzionale attuale e modificato – che trovate ad esempio molto ben chiosato nelle preziose Appendici del volume di Salvatore Settis “Costituzione!”, Einaudi 2016), i principali effetti che l’insieme dei cambiamenti proposti dalla legge sottoposta a Referendum confermativo sembrano produrre sul funzionamento dell’Ordinamento della Repubblica, giudicato in base a cinque dimensioni:

  1. Efficienza, nel senso di tempestivo adattamento a un contesto volatile (Trascuro qualsiasi riferimento all’efficienza in termini di costi, dal momento che, pur significativi in assoluto, i costi di esercizio degli organi dell’Ordinamento sono statisticamente irrilevanti a fronte dei costi/benefici derivanti da un “cattivo/buon governo”).
  2. Efficacia, nel senso di qualità/impatto delle decisioni sulla nostra qualità di vita.
  3. Certezza, nel senso di stabilità del governo, delle leggi, della stessa Costituzione.
  4. Partecipazione, nel senso di capacità di acquisire direttamente e utilizzare conoscenza e preferenze dei cittadini e dei lavoratori.
  5. Garanzie, delle minoranze e in generale nel senso di auto-correzione sistemica di fronte a eventi/azioni imprevisti o estremi.

È difficile e soggettivo pesare queste dimensioni – quanto siamo pronti a cedere dell’una per avere un tot in più dell’altra? – ma certo se per alcune si osservasse un miglioramento senza che per le altre vi fosse un peggioramento, diremmo che è cresciuta la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di realizzare i principi della prima parte della Costituzione, al servizio dei quali l’Ordinamento stesso è posto.

Prima di passare la riforma costituzionale a questo vaglio, servono due caveat su quello che non faccio qui e perché.

Primo, non giudico il processo legislativo con cui la riforma è stata elaborata. Non vi sono dubbi che si tratta di un cattivo processo, visto che non ha raggiunto quel largo consenso parlamentare che i Costituenti hanno cifrato in 2/3 del Parlamento (e che la riforma stessa riconosce valido, non avendo modificato questa previsione). E sul piano politico ha peso l’argomento che questo Parlamento, eletto con legge elettorale poi giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, avrebbe dovuto avvertire doveri e limiti ancor più forti. E tuttavia, grazie alla saggezza dei Costituenti, noi siamo chiamati a porre rimedio a queste deficienze, trasformandoci in “costituenti”. Lo stesso atto referendario, comunque si voti, ri-democraticizza dunque il processo. Votare senza guardare il merito e giudicando il metodo mi appare dunque contraddittorio.

Secondo, non giudico la riforma “in connessione” con la legge elettorale, perché l’Ordinamento della Repubblica su cui siamo chiamati a esprimerci è scelto, come il precedente, per convivere con ogni legge elettorale, “per sé”. Dobbiamo giudicare se sia migliore/peggiore/uguale al precedente indipendentemente dalle leggi elettorali con cui potrà essere combinato. Si dice: “ma la legge elettorale approvata per la Camera è pessima e combinata con la riforma costituzionale …”. Attenzione: la legge elettorale è assai più che pessima, è terribile, perché impedisce una buona selezione di classe dirigente e stravolge la rappresentanza rispetto alle preferenze dei votanti; ma lo è in connessione con qualunque Ordinamento della Repubblica.

E veniamo al vaglio della riforma utilizzando le cinque dimensioni. Accanto a ogni dimensione o sub-dimensione indico con “=” una sostanziale invarianza, con “-“ un peggioramento, con “+” un miglioramento. I segni “=-“ e “=+” indicano effetti lievi.

Ovviamente, pur argomentando sinteticamente i giudizi e i segni che propongo, si tratta – è ben chiaro – di mere “ipotesi di effetto”, assolutamente non dimostrate e opinabili. Per questo uso espressioni come “promette di”, “dovrebbe”, “potrebbe”, “appare”. Queste ipotesi hanno il solo pregio di essere proposizioni trasparenti: chi volesse argomentare il contrario potrebbe e potrà portare quegli elementi di giudizio che io non ho colto o che ignoro. E che magari potrebbero modificare il giudizio finale di “sostanziale indifferenza”. E che con certezza possono accrescere la nostra conoscenza collettiva, utile il mattino dopo, comunque vada a finire.

1. Efficienza (=+)

Due modiche introdotte dalla riforma impattano sull’efficienza, in termini di tempestività: l’abolizione del bicameralismo perfetto, per cui solo una parte delle leggi dovrà ricevere il voto vincolante del Senato (“funzione legislativa esercitata collettivamente”), e l’inserimento di alcuni vincoli temporali nel processo legislativo. Queste modifiche promettono di ridurre i tempi di discussione e approvazione di molte leggi e dunque la capacità di reazione legislativa a fronte di un contesto economico e sociale volatile, che chiede decisioni urgenti. Questo miglioramento appare tuttavia di presumibile lieve portata alla luce delle seguenti considerazioni:

a) la lunghezza delle procedure legislative dipende in larga misura dalla volontà politica, b) nell’esperienza concreta il cosiddetto ping-pong Camera-Senato ha riguardato una parte minoritaria della legislazione, c) la difficoltà di decidere, legge per legge, se debba o non debba scattare il bicameralismo e il fatto che, in ogni caso, il Senato può decidere (“su richiesta di un terzo dei suoi componenti”) di esaminare ogni provvedimento e può “formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, possono introdurre ostacoli politici nuovi, e infine d) la reattività di un sistema ordinamentale moderno non si misura tanto con la tempestività di modifica delle sue leggi (come avvenuto ad esempio per le leggi del mercato del lavoro, dove ogni singolo articolo – è la stima di un paper della Banca d’Italia – è stato modificato nei successivi due anni una volta e mezzo), ma con la capacità di adattamento dell’azione amministrativa a normativa data.

2. Efficacia (=-)

Per quanto riguarda l’efficacia intesa come capacità di produrre “buone decisioni”, la riforma impatta su due piani distinti:

A. Efficacia del Parlamento (=-)

Qui considero due canali di influenza della riforma:

  • Singolo passaggio alla Camera (=)
    Appare impossibile determinare il segno del cambiamento sulla base delle informazioni reperite. Infatti, da un lato, si può sostenere che la venuta meno del doppio passaggio riduce la possibilità di identificare errori o mancanze, peggiorando così la qualità delle leggi. Ma dall’altro, si può argomentare che nel ping-pong cresce il peso di gruppi di interesse e dunque un “mercato dei commi di legge” che distorce i provvedimenti. Temerario tirare una somma dei due effetti opposti
  • Selezione e motivazione dei senatori (-)
    Qui l’effetto della riforma appare decisamente negativo. La difficile sostenibilità da parte di Consiglieri Regionali e Sindaci dell’incarico aggiuntivo e non remunerato di “senatore” e l’”immunità parlamentare” di cui si ritrovano a godere (per effetto dell’articolo 68 dell’attuale Costituzione) suggeriscono che si avrà una forte spinta a una “selezione avversa” dei nuovi senatori, che penalizzerà i migliori e più dedicati e retti fra i possibili candidati. Inoltre, essendo prevista una rappresentanza a titolo personale e non una rappresentanza collettiva regionale, i nuovi senatori di ogni Regione non saranno indotti a portare collegialmente in Senato un punto di vista mediato della classe dirigente politica della propria Regione; saranno viceversa indotti a negoziare il proprio voto in Senato (presumibilmente all’interno del proprio partito) per “concessioni” da esibire poi individualmente in sede locale. Non è chiaro se e come la legge che potrebbe intervenire a “regolare le modalità … di elezione dei membri del Senato tra i consiglieri e i sindaci” possa lenire queste criticità.

B. Efficacia del governo multilivello Regioni-Stato (=)

L’efficacia complessiva dell’ordinamento dipende anche dalla capacità di divisione del lavoro e di cooperazione cognitiva fra livelli di Governo. Qui considero tre cambiamenti relativi al livello Regioni (trascuro il tema Province dove la riforma sancisce una situazione già prodottasi):

  • “Il Senato rappresenta le istituzioni territoriali” (=)
    La riforma così recita all’articolo 55. In realtà, come visto sopra, a sedere in Parlamento sono singole figure prive di un impegno di rappresentanza delle proprie Istituzioni. In particolare, il voto dei Consiglieri regionali / Senatori in nessun modo impegna il loro Consiglio e tantomeno il Governo regionale. Non si attiva quindi un canale nuovo di cooperazione fra i due livelli di Governo, e infatti rimarrà operativa la Conferenza Stato-Regioni. Nessun peggioramento, nessun miglioramento
  • Riallocazione di funzioni dalle Regioni allo Stato (=)
    Come noto, la riforma abolisce formalmente la “concorrenza” di funzioni fra Stato e Regioni, prevedendo per i due livelli solo competenze “esclusive” (assegnando alle Regioni anche ciò che non è “espressamente riservato allo Stato”). Tuttavia, per materie fondamentali il nuovo testo, consapevole delle competenze ormai maturate presso le Regioni, suddivide la materia fra due esclusività, delle Regioni e dello Stato: ad esempio per la salute, lo Stato ha le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute”, le Regioni hanno ”la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”. Non sembra dunque prevedibile, nei fatti, un significativo cambiamento (ed è probabilmente un bene), sempre che non si aprano – per via del testo – nuovi contenziosi. D’altro canto, se in alcuni casi si dovesse avere un’effettiva ricentralizzazione di funzioni, nasce un dubbio: è lo Stato pronto (in termini di risorse umane e cultura) a riprendersi tali funzioni? (Si noti a riguardo che il mancato “indirizzo nazionale” successivo al decentramento massiccio del 2001 va attribuito più all’incapacità dello Stato di agire che a un impedimento costituzionale, come mostra il caso della sottoutilizzazione dei commi m e r dell’articolo 117 attualmente in vigore). Tirando le somme, un’invarianza è l’ipotesi più probabile.

Complessivamente, quindi, il presumibile forte effetto negativo su selezione e motivazione dei senatori fa pendere la bilancia dal lato del peggioramento, lieve per via degli altri non-peggioramenti.

C. Certezza (=)

Per certezza si intende qui sia la probabilità che dopo un’elezione politica si possa formare un governo che non sia il collage precario di forze lontane, sia la certezza delle norme: quella dei cittadini, che una volta approvata una legge e adattati i propri comportamenti, se la vedono spesso cambiare per via di un ricorso alla Corte Costituzionale, o – peggio ancora – che una volta approvato/respinto un testo costituzionale rischiano vederselo rimettere in discussione con più facilità di un Regolamento condominiale. Rilevano allora quattro aspetti:

  • Stabilità di governo (+)
    Con l’affidamento alla sola Camera della fiducia al Governo cresce certamente, rispetto al caso attuale di due distinti atti di fiducia, uno per ramo del Parlamento, la probabilità che sia data fiducia a un governo composto da forze politiche coese, “con un’anima” ho scritto prima. Non era il solo modo di ottenere questo esito, ma è certamente positivo.
  • Iter parlamentare (-)
    Le molteplici possibilità previste in merito al coinvolgimento del Senato nel procedimento legislativo e la farraginosità del testo daranno presumibilmente luogo a incertezze nel Parlamento e fuori, foriere di tensioni politiche.
  • Impugnabilità da parte delle Regioni (=)
    Per il motivo già richiamato – il fatto che il voto dei Consiglieri Regionali / Senatori non impegna la volontà del legislativo, né dell’esecutivo delle proprie Regioni – nulla dovrebbe cambiare circa l’incertezza legata alle contestazioni di incostituzionalità.
  • Stabilità costituzionale (-)
    Il processo con cui la riforma è stata approvata e il mancato conseguimento (come già in precedenti riforme, ma mai per così tanti articoli) del quorum dei 2/3, mentre non inficia in sé il testo che votiamo – come ho argomentato prima – introduce ulteriore incertezza nella stabilità nel tempo della parte ordinamentale della Costituzione. Forte sarà la convinzione, in caso di approvazione della riforma con un margine non eclatante di voti, che essa sarà presto nuovamente modificata.

È quasi impossibile pesare i due effetti opposti sulla stabilità costituzionale e dei governi. Me la cavo ipotizzando che l’insieme degli effetti produca sostanziale invarianza. Pronto a rivedere il giudizio di fronte a robusti argomenti.

D. Partecipazione (=+)

La riforma costituzionale propostaci non apre purtroppo (salvo un assai vago riferimento a “formazioni sociali” nel prevedere possibili “altre forme di consultazione”) alle nuove forme di partecipazione attiva e diretta alle pubbliche decisioni che, in forme variegate di cittadinanza attiva, rappresentano la novità più sfidante delle nostre democrazie. E neppure apre al tema delle nuove forme di collaborazione (attiva e autonoma, o viceversa passiva e subordinata) dei lavoratori nelle imprese, che segna una delle linee evolutive del capitalismo. Sono due fenomeni che assumono particolare rilievo anche in Italia e che, più di altri, domandavano un adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica. Ma la riforma ritocca in modo significativo le forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini alle pubbliche decisioni:

  • Forme tradizionali di partecipazione diretta dei cittadini (=+)
    Viene ridato spazio al referendum abrogativo, prevedendo che, ove sia proposto da almeno 800mila cittadini (anziché le 500mila, cifra minima), il quorum del “50%+1” sia calcolato sul numero di votanti alle ultime elezioni politiche, anziché sul numero dei cittadini aventi diritto. Innalzando il numero di richiedenti da 50mila a 150mila, viene previsto che le leggi di iniziativa popolare debbano essere esaminate dalla Camera. Infine, affida a una legge la possibilità di introdurre “referendum popolari propositivi e d’indirizzo nonché … altre forme di consultazione”. A questi effetti positivi si contrappone la perdita da parte dei cittadini della possibilità di selezionare in modo diretto i membri del Senato.

Nessuna attenzione, invece, al lavoro. Alla opportuna abolizione del CNEL, che non ha conseguito la propria missione, non corrisponde alcuna soluzione per presidiare l’impegno di cui l’articolo 3 della Costituzione fa carico alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono … l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Un’occasione persa dall’intero Parlamento. Il giudizio complessivo resta lievemente positivo.

E. Garanzie (=)

La prima e più importante cosa da notare in termini di garanzie, tema che era delicato nel 1948 e resta delicato, specie di fronte ai rischi involutivi di questa fase, è che la riforma costituzionale non accoglie in alcun modo il tentativo in corso da oltre venti anni (che pure ha avuto aperture in passato anche nel centro-sinistra) di stravolgere la nostra democrazia parlamentare in una democrazia presidenziale. In particolare, restano immutati i poteri del Presidente della Repubblica:

  • Presidente della Repubblica (=)
    Il Presidente conserva il potere di nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei Ministri: passaggio decisivo per assicurare che il Presidente del Consiglio sia un primus inter pares, e che i Ministri, se ne hanno competenza e forza, diano vita in Consiglio a quel confronto acceso e informato che è decisivo per ben governare. Il Presidente conserva anche gli altri poteri e fra questi quello di indire le elezioni, sciogliere la Camera, chiedere alla Camera una nuova deliberazione prima di promulgare una legge. Per quanto riguarda la sua elezione (da parte congiunta di Camera e Senato), la nuova previsione per cui, “dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dei votanti” (anziché la “maggioranza assoluta” ma “dell’assemblea”, come prima) potrebbe creare situazioni paradossali in presenza di elevata astensione.
  • Corte Costituzionale (=)
    Conserva poteri e modalità di nomina ed è aggiuntivamente investita del potere di “giudizio preventivo di legittimità costituzionale [delle leggi elettorali di Camera e Senato] … su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera o da almeno un terzo dei componenti del Senato …”. Questa previsione serve a evitare il paradosso di “scoprire” che una legge elettorale è incostituzionale dopo averla già utilizzata, come avvenuto.

A fronte di questi presidi, si riduce, ovviamente, la funzione di garanzia implicita nel bicameralismo perfetto, ossia nel ruolo vincolante del Senato nell’approvazione di tutte le leggi. Tuttavia, il fatto che il Senato possa, come ricordato, “su richiesta di un terzo dei suoi componenti”, esaminare ogni disegno di legge e deliberare “proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva” e inoltre possa “svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera”, mentre riduce i miglioramenti di efficienza, crea un meccanismo di garanzia. Complessivamente appare emergere anche qui un giudizio di invarianza.

E siamo alla conclusione. È ora chiaro, mi auguro, perché mi sono convinto che l’insieme della riforma né peggiora, né migliora la capacità dell’Ordinamento della Repubblica di attuare i principi della Costituzione stessa, ossia di “farci vivere al meglio”. Certezza e Garanzie sembrano restare invariate. Per Efficienza e Partecipazione sembra esservi un lieve miglioramento. Ma l’Efficacia sembra peggiorare. Ecco che la Ragione (il Cavaliere), provando a guardare lontano, non ha alcuna ragione di eccitare il Sentimento (l’Elefante) né verso il SI, né verso il NO. Ma deve piuttosto spronare la sua potenza a emozionarsi per la “sacralità” dell’esercizio democratico che stiamo compiendo, e per l’impegno che, comunque finisca, ci attende dopo il voto per attuare la nostra Costituzione.

Il post L’Elefante e il Cavaliere: Promemoria sul Referendum Costituzionale è online su Fabrizio Barca.



Fonte: http://www.fabriziobarca.it/fabrizio-barca-referendum-costituzionale/

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