martedì 17 gennaio 2017

Nuovo asse Ppe-Alde: cosa può cambiare adesso a Bruxelles

L’accordo raggiunto in extremis tra Alde e Ppe sulla candidatura di Antonio Tajani alla presidenza del Parlamento europeo apre una nuova fase nelle istituzioni europee, che va ben al di là della gestione dell’Aula di Strasburgo. Due sono le conseguenze immediate: la fine della Grosse koalition tra socialisti e popolari che ha guidato fin qui l’Ue, l’insediamento di tre esponenti del Ppe nelle tre principali cariche istituzionali dell’Unione (presidente della Commissione, presidente del Consiglio, presidente del Parlamento).

La rottura dell’intesa Pse-Ppe era emersa già con la decisione del gruppo S&D di presentare un proprio candidato alla successione di un altro socialista, Martin Schulz, sulla poltrona più importante dell’Assemblea di Strasburgo e quella parallela dei Popolari di confermare il polacco Donald Tusk alla guida del Consiglio europeo. L’accordo sottoscritto a inizio legislatura, infatti, prevedeva un avvicendamento delle due poltrone a metà mandato, con uno scambio tra le due famiglie politiche.

Ma soprattutto, il patto tra le due forze più rappresentative aveva garantito fin qui la stabilità della Commissione europea e un consolidamento del rapporto tra questa e l’Europarlamento che, dal canto suo, vedeva rafforzato il proprio ruolo da una solida maggioranza numerica in grado di raggiungere accordi solidi sui principali provvedimenti sottoposti al vaglio dell’Aula. Gianni Pittella, capogruppo dei S&D, ha già detto che questa stagione è terminata definitivamente. I prossimi mesi saranno cruciali per capire se il nuovo asse tra Manfred Weber e Guy Verhofstadt, rispettivamente capigruppo di Ppe e Alde, sarà in grado di mantenere la stabilità delle istituzioni europee (con una Commissione in cui i socialisti continuano comunque a essere rappresentati in maniera rilevante) e soprattutto la centralità del Parlamento, in un anno in cui dovrà affrontare importanti questioni, nonostante i numeri più ridotti di quelli contati finora dalla precedente maggioranza.

 

 

Il patto tra popolari e liberali si basa su alcuni punti specifici, come l’avvio di un confronto sulla riforma delle istituzioni europee, il ruolo attivo dell’Europarlamento nelle trattative sulla Brexit, un rilancio della difesa comune europea e di un coordinamento delle forze di intelligence per la lotta al terrorismo. Un’intesa – ha specificato il leader dell’Alde Verhofstadt – che rappresenta una “coalizione di idee”, aperta al contributo di “tutti i gruppi pro-Europa”.

 

ALDE and EPP have laid the foundation of a new coalition to move Europe forward. The agreement is open to all other pro-European groups pic.twitter.com/dTSLm7fDVI

— Guy Verhofstadt (@GuyVerhofstadt) January 17, 2017

 

E però non sono mancate le critiche provenienti soprattutto dal campo socialista, che hanno fatto notare come l’ex premier belga sia passato nel giro di pochi giorni dal tentativo di incamerare i voti dei grillini al sostegno del candidato di Forza Italia. Grazie all’accordo con il Ppe, Verhofstadt prova a recuperare una centralità politica, personale e per il proprio gruppo, dopo la figuraccia rimediata in occasione dell’abboccamento con il M5S. Tra i termini dell’intesa, non a caso, ci sarebbero anche poltrone di peso dell’Europarlamento, come la terza vicepresidenza, la guida (da mantenere) della commissione Bilancio e il coordinamento della conferenza dei presidenti di commissione.

"From Grillo to Berlusconi in one week" read @tfajon on @GuyVerhofstadt's latest political somersault #EPpresident ⬇️https://t.co/uom850XYcA

— S&D Group (@TheProgressives) January 17, 2017

This shows a lack of the openness and transparancy that the #EU so needs today. Rather cynical. #EPpresident pic.twitter.com/i1ldgd91D8

— Kathleen Van Brempt (@kvanbrempt) January 17, 2017

Ma non è certo che questo tentativo abbia successo: l’Alde, infatti, è uscito frammentato dalle ultime vicende e non è detto che le componenti più euro-entusiaste al proprio interno (alle quali teoricamente lo stesso leader si iscrive) si troveranno concordi nel sostenere scelte di ripiego, rivolte a rafforzare la centralità degli Stati nazionali e misure di austerità, come quelle che i Popolari imporranno nei prossimi mesi. Soprattutto, in vista delle campagne elettorali in Paesi importanti come Germania, Francia e Olanda. L’intesa, insomma, potrebbe traballare presto.

Infine, bisogna guardare al possibile valzer di poltrone che si potrebbe aprire per evitare un monocolore popolare alla guida delle più importanti istituzioni europee. Sotto i riflettori c’è soprattutto il posto di Donald Tusk. L’avvicendamento alla presidenza del Consiglio europeo è prevista per la prossima primavera, ma il Ppe ha già fatto sapere che intende mantenere quel posto per l’ex premier polacco. Meno probabile appare la sostituzione di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione, che rimetterebbe in gioco la composizione stessa dell’organo esecutivo dell’Ue, aprendo così un vaso di Pandora che sarebbe complicato richiudere.

I socialisti rivendicano per sé la poltrona di Tusk e intendono aprire immediatamente la contesa, nonostante non abbiano ancora individuato un candidato forte per quella carica. Sarà uno dei primi banchi di prova per la tenuta dell’asse liberal-popolare, ma anche per capire il margine di manovra che il Pse continuerà comunque ad avere nonostante la posizione di minoranza nella quale si troverà d’ora in avanti.

Questo è il punto politico vero. Di fronte alle scelte cruciali su immigrazione, Brexit, bilancio, investimenti, austerità, quale margine decisionale manterranno i socialisti? Certo, seppur di poco, i rappresentanti che afferiscono al Pse detengono ancora la maggioranza relativa all’interno del Consiglio europeo. Così come i loro voti all’interno dell’Europarlamento rimarranno probabilmente determinanti per le decisioni a maggioranza qualificata. Basterà?



Fonte: http://www.unita.tv/focus/ppe-alde-cosa-cambia-adesso-europa/

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