venerdì 6 gennaio 2017

Le private confessioni di James Joyce

Lettere e saggi (pagine 1101) è un volume mastodontico nonostante per un autore come James Joyce considerato a ragione tra i giganti della letteratura mondiale possa presentarsi erroneamente come corredo delle sue opere. Lo pubblica il Saggiatore che ha raccolto circa due quinti delle lettere venute alla luce dopo la sua morte e che pensò a stampare l’editore Faber & Faber. Non tutte pubblicate, talune perché superflue, altre perché riportavano informazioni o notizie contenute già in altre lettere, ma l’immane lavoro svolto prima da Faber & Faber, e poi dall’editore e dal curatore italiano (Enrico Terrinoni) hanno fatto sì che ripristinasse una sequenza cronologica dell’epistolario tirando fuori una sorta di diario involontario. E sono stati lasciati intatti i tantissimi errori di Joyce nella trascrizione di nomi di persona o nelle strutture grammaticali dell’italiano e del francese¸ corretti invece quelli che potevano creare qualche equivoco di interpretazione ma è stata appunto data una seria consequenzialità temporale ai testi in modo che le pagine possano scorrere in modo veloce e coinvolgente.

E le Lettere sono solo la prima parte di questo volume, anche se nonostante la loro natura frammentaria e circoscritta, riescono con insolita dovizia di particolari a raccontare l’intera vicenda umana di Joyce, dalle sue traversie a Dublino alla fuga volontaria con Nora, e poi ancora Trieste, Roma Parigi, Zurigo, le vicissitudini con l’editore Grant Richards per Gente di Dublino, la sua amicizia con Ezra Pound. E ancora mille altre vicende che non potranno non appassionare il lettore.

Come opportunamente fa notare il curatore, le lettere sono strumento adottato costantemente da Joyce anche oltre la sua vita di relazioni. Le lettere intese nel senso di epistolario ma anche in quanto vocali o consonanti che formano la parola scritta. Nelle sue opere non mancano mai lettere che possono essere solo una coloritura a margine di un testo oppure sostanza posta al centro di una vicenda di un personaggio. Ma appunto definite anche nel senso di elementi singoli che vanno a comporre quel tutto magico rappresentato dalla nuda parola. E Joyce con esse ci giocò per tutta la vita: con le iniziali condivise e scambiate dai vari personaggi (Molly Bloom, Mr Bloom, Buck Mulligan, Stephen Dedalus, Simon Dedalus, eccetera) quasi come un alchimista intento a <<muoversi in una stanza piena di fornaci, alambicchi e libri carichi di diagrammi>>. Ma anche con le parole in codice all’interno di missive segrete; e poi anche con lunghe elucubrazioni metafisiche che deflagravano nel momento in cui ci si accorgeva di un banale errore di spelling, vale a dire quando una lettera veniva erroneamente sostituita da un’altra. Ed ancora lettere ricevute da amanti oppure al centro di una intera storia come in Finnegans Wake dove tutto è incentrato sul messaggio trovato in mezzo ai rifiuti che svela i segreti del protagonista. Insomma, tutto uno scoprire, un finto persuadere e un racconto che pare volersi mostrare quasi senza infastidire il lettore e che invece magicamente incanta.

Nel complesso è anche un volume pieno di sorprese, aneddoti e perciò piacevolmente imprevedibile. Il fatto che, per esempio  si scopra una passione costante per Giordano Bruno che passa da una partecipazione di Joyce a una manifestazione in sua memoria a Roma o alla recensione di un libro sulla sua filosofia o a mille altri richiami espliciti o indiretti, rendono il filosofo di Nola parte integrante dei suoi interessi di studi. E questo tornare spesso ai testi antichi, a filosofi cosiddetti minori, ci fa scoprire anche un altro lato del suo carattere: l’ossessione per la superstizione. Dati, simboli, luoghi, sono oggetto di una attenzione maniacale e scannerizzati alla maniera di quelle lettere di cui dicevamo prima.

I saggi sono poi l’apoteosi di tutto questo fermento. Joyce entra nell’analisi del testo in questione ma lo abbandona solo per farlo totalmente suo. Non si sofferma più di tanto sulla classica recensione e sulla comprensione ma ricrea lingua, obiettivi e contenuti. Alla fine, ci si accorge che non ha scritto un saggio su un volume o su un particolare autore ma ha scritto di sé stesso attraverso il mondo di cui parla. C‘è velato ardore ed eccezionale passione in questi scritti tanto che un maestro come Ibsen volle complimentarsi invitandolo a persistere in questo fervore e nello scavo degli abissi inesplorati della vita e
dell’arte. E Joyce  seguì il consiglio.

 

 

 

 

 

L'articolo Le private confessioni di James Joyce sembra essere il primo su Il Conservatore.



Fonte: http://www.ilconservatore.com/idee/le-private-confessioni-james-joyce/

Nessun commento:

Posta un commento